Quando ci sentiamo fragili e vulnerabili la tendenza è quella di chiedere o volere attenzione e sopratutto protezione. Alcune situazioni e circostanze della vita possono scatenare rabbia, tristezza, delusione, frustrazione e anche auto-commiserazione.
Ci sono persone e reazioni diverse agli eventi che ognuno di noi si trova ad affrontare e non tutti sono capaci di riuscire a gestirsi e sopratutto hanno il coraggio di trasformare positivamente quanto accade.
Situazioni e condizioni dalle quali sembra difficile uscire e che necessitano di soluzioni, preferibilmente immediate, portano spesso a pensare che si è vittime di una ingiustizia e ciò sembra autorizzare alcuni a stare immobili e a giocarsi la parte di vittima.
Se questo ruolo diventa la propria identità e biglietto da visita siamo davanti a ciò che purtroppo rileviamo nella nostra società: il vittimismo cronico con annessa lamentela.
Ci sarà un vantaggio nello stare fermi? L’attesa che accada qualcosa e che sia l’ambiente esterno a farla accadere fa perdere quel senso di auto-efficacia e autodeterminazione ma allo stesso tempo de-responsabilizza.
E’ meglio assumere il ruolo di vittime che impegnarsi in prima persona e affrontare la realtà.
Se l’ambiente circostante dà una mano a superare o risolvere qualcosa se ne prova piacere e si sperimenta quanto sia pure gratificante essere cinsiderati e muoversi mano per la mano o a braccetto con l’altro.
Se ciò non avviene si potrebbe sprofondare nello sconforto e incrementare la convinzione che si è vittime di un ingiustizia o semplicemente si è sfortunati e avere dei pensieri che sfiorano la paranoia.
La società di oggi favorisce la cultura del vittimismo cronico. In che modo? Aiutando sempre quella persona.
Chi aiuta l’altro è ben visto poiché sta facendo del bene.
Ma del bene a chi? Chi è veramente il beneficiario? Chi riceve un aiuto apparentemente si può sentire appagato ma con il rischio di non attivarsi e sopratutto con un caro prezzo da pagare: quello di percepirsi e credere che non può fare niente per se stesso e non riuscire a vedere le altre cose belle della vita, entrando così in un circuito di pessimismo e negatività.
E allora occorre restituire all’altro la propria di responsabilità e anche di dignità affinché il vittimismo non diventi cronico seguendo il copione della lamentela e cercando sempre un colpevole.
E allora come se ne esce? Cosa possiamo fare per non alimentare la cultura del vittimismo cronico?
E’ difficile dire di no e gestire il proprio sentire che stimola la tendenza a fare qualcosa per l’altro ma quando ci sostituiamo all’altro non lo stiamo aiutando, o meglio, lo stiamo aiutando a continuare a stare nel ruolo di vittima.
Le persone meritano attenzione, di essere ascoltate e comprese ma non sempre assecondate, proprio per non innescare quel meccanismo che porta alla passività e allo stare nell’immobilità.
Non tutti siamo fatti allo stesso modo e questo va sicuramente rispettato e mai giudicato ma allo stesso tempo dobbiamo renderci conto di ciò che accade per non illudere gli altri e pure noi stessi raccontandoci che ci sono vittime, carnefici e salvatori.
Sostenersi reciprocamente in questo mondo è fondamentale e lo è ancor di più che ognuno faccia la sua parte e agisca il proprio volere e potere.
Efisio Arbau