Seguo con attenzione la campagna portata avanti su “Pratobello 24” e le vicende speculative che l’hanno ispirata. Mai come questa volta il tema ambientale è diventato argomento di discussione di massa in Sardegna. Riflettevo, tuttavia, sul fatto oggettivo che siamo la regione italiana con maggiore superfice boscata e che questa crescita esponenziale negli ultimi trent’anni è dovuta all’abbandono del territorio. L’abbandono della nostra terra, quella che diciamo ci stiano rubando gli speculatori. Come pure, contestualmente, sul fatto altrettanto oggettivo della fuga dei giovani e meno giovane dal mondo delle campagne. Proprio nel momento in cui sembrerebbe conveniente starci. Due constatazioni che mi sollecitano quesiti, anche banali.
Ma chi si occuperà del nostro territorio fra un lustro o due? Nel senso se ci saranno ancora sardi che si alzeranno la mattina per andare a lavorare la terra, accudire il bestiame e quindi controllare i fenomeni di degrado, inquinamento e degli incendi in cui, purtroppo, siamo campioni del mondo da sempre.
Ed ancora, abbiamo un progetto produttivo di medio lungo termine per questi boschi e terreni incolti? Riusciremo, per essere chiari, a fare economia praticando la silvicoltura e quindi i tagli colturali, pulire il sottobosco ed anche vendere la legna, unico e vero combustibile ad impatto zero. E contestualmente, facendo pascolare nei boschi e nei terreni cosiddetti marginali gli animali, legare i prodotti ad un allevamento che rispetta il benessere animale (certificato da vent’anni) e che salva pure il pianeta invece di distruggerlo. Insomma fare reddito, creare posti di lavoro e preservare l’ambiente come hanno fatto i nostri avi che campavano dalla terra anche se non avevano pensioni ed in generale sostegni pubblici al reddito.
Domande retoriche purtroppo, come molto retorica, evanescente e stucchevole è la solita diatriba che va in onda anche in questi giorni tra i sardi, uno contro l’altro a geografia variabile, sul rispettivo livello di amore per la nostra terra. Ambientalisti con la proprietà altrui ma inquinatori seriali nella pratica di tutti i giorni, come tutti gli abitanti dell’occidente, con vestiario, alimenti, veicoli e persino strumenti informatici che inquinano anche altre terre, lontane dalla Sardegna ma sempre parte del nostro piccolo mondo in autodistruzione.
Insomma, concludendo, il mio è un semplice invito da privato cittadino, un sardo tra i tanti, a mettere da parte la demagogia, le divisioni utilitaristiche ed a individuare e decidere l’unica cosa legittima e praticabile che può limitare le speculazioni: le aree idonee e non idonee per consentire gli investimenti produttivi in campo energetico che ci consentiranno di rispettare e fare la nostra parte di cittadini europei (come i lombardi, i bretoni, i catalani ed i bavaresi) per la transizione energetica ed ecologica. Una transizione ecologica molto in linea, peraltro, con una terra spopolata ed al naturale come la nostra, che anzi dovrebbe candidarsi ad essere il primo territorio mondiale totalmente biologico e naturale. Una Sardegna verde, come la speranza che per quanto mi riguarda si fonda sulla saggezza della nostra millenaria comunità che saprà trovare la sua via.
Efisio Arbau, Avvocato e Pastore