La nuova politica agricola comunitaria ci pone davanti al fatto compiuto. Il pianeta è a rischio e con esso l’estinzione della specie umana. Noi tutti siamo chiamati ad azioni responsabili e intelligenti per cercare di superare l’autolesionismo congenito che finora ha dimostrato di voler distruggere la natura e di conseguenza tutti gli esseri viventi, umani compresi. L’ambientalismo, lo sapete, non è nelle mie corde, tuttavia, il tema di un nuovo ordine mondiale ed economico fondato sull’ecologia è l’unica opzione. L’unica possibile alla fine di un ciclo economico finanziario che ha indebolito la struttura economica, sociale e ambientale dell’intero pianeta. In campo agricolo sopratutto questa è la strada da praticare. Vorrei dire due cose a proposito dell’agricoltura del futuro e in particolare sulla nostra economia rurale di prossimità. Intanto per noi rurali questa scelta ecologista è una buona notizia, essendo i protagonisti di questa stagione.
Tuttavia tre avvertimenti per qualche controindicazione. La prima di fondo, relativa alla predisposizione di un progetto di medio lungo periodo azienda per azienda, per evitare di andare a rincorrere gli incentivi che possono portare ad un vicolo cieco. La seconda attiene invece alle istituzioni che devono evitare di stracaricare di burocrazia le scelte aziendali di una agricoltura al naturale che dovrebbero essere al più a burocrazia zero. Terzo e, forse ancora più determinante, legare l’attività agricola al territorio in cui si pratica ed al cibo che si produce. Per procedere spediti sulla messa in atto della nuova politica agricola è necessaria, quindi, quella lucidità che spesso è mancata nel nostro mondo rurale, schiacciato da una inesistenza delle filiere e da fiumi di contributi che di fatto hanno reso marginale le produzioni.
Ancora più nel dettaglio, l’idea della Sardegna al naturale, totalmente biologica alla fine di questa programmazione comunitaria dovrebbe essere propugnata con maggiore determinazione. E lo dico a me stesso e andrebbe spiegata agli operatori innanzitutto. Creare le filiere, lavorare molto sull’educazione alimentare e propagandare senza tentennamenti la sovranità alimentare, intesa come l’autodeterminazione sulle scelte produttive e alimentari.
Efisio Arbau