In Patria un manovale a cui piaceva esprimersi in “italiano” nonostante tutti parlassero nella nostra lingua, quando la discussione tra i muratori si infervorava su qualsiasi argomento di lavoro e da conversazione, commentava a voce alta con una sorta di scioglilingua ripetuto più volte: “non è a dire ma a fare”.
Ecco, questo blog vuole essere un rumore di fondo, una piccola ed umile colonna sonora che invita a lasciare da parte le tante chiacchiere per passare ai fatti. In politica principalmente ma anche nella vita di relazione, sul lavoro e persino in questi dannati social che tante chiacchiere a vuoto hanno sviluppato. Diciamo che la sento come una necessità, forse anche collegata alla tragedia personale che mi ha colpito, con la scomparsa della cara Tiziana. La necessità di voler dire a tutti: e basta, diamoci da fare. Con i nostri limiti, gli errori e persino gli stereotipi di una società consumistica che fomenta bisogni frivoli, ma serve rimetterci a lavorare ed a segnare dei punti nel mondo delle cose concrete e tangibili.
Tuttavia, proprio per evitare di diventare l’ennesimo contributo alle chiacchiere questo “blog” proverà a trasformarsi in un libretto della istruzioni che rappresenti quello che la mia modesta esperienza da amministratore locale ha certificato. E cioè, che le cose, se ci si mette di impegno, si programmano, si progettano, si realizzano e si perfezionano. Anche nel breve periodo. Ma da dove si comincia? In questa epoca pandemica che ha spazzato via il sistema economico oltrechè la vita di migliaia di persone, bisogna innanzitutto pensare ad un modello di società, e banalmente a chi siamo, cosa vogliamo e dove vogliamo andare.
Io credo che un modello ci sia già e sia quello della comunità fondata sui rapporti sociali, sulla cooperazione e la solidarietà tra esseri umani che scocca solo se a monte esiste un consortium, un riconoscersi in una bandiera, in un vicinato o semplicemente in un gruppo di persone.
Un modello di questo tipo, resiliente, sempre vivo e combattivo persiste nelle piccole comunità, in quei paesi e borghi a rischio estinzione ma nei quali si vive davvero, condividendo con i vicini di casa, con i compaesani tutto o quasi. Una società ancora fondata sui valori ed i sentimenti che resiste alle mercificazione dell’essere umano.
Questo è il modello che in ambito urbano considerano in via di estinzione, da studiare e preservare come reperto da museo e che invece rappresenta l’elisir di lunga e sana vita. Capisco che sia un punto di vista rovesciato rispetto allo storytelling che va per la maggiore, che possiamo paragonare a quello degli antropologi eurocentristi che raccontavano il mondo dai loro studio di Parigi, Londra, Berlino e Roma, con una lettura storica, culturale e sociale degli altri popoli attraverso i modelli europei. Il nostro professore di filosofia del diritto, per rappresentare plasticamente questo, raccontava la battuta del capo tribù africano che alla vista degli antropologi europei diceva: amici, tirate fuori i tamburi che stanno arrivando gli antropologi.
Insomma, siccome mi sono stancato ti tirare fuori i tamburi, proviamo ad intonare l’umile melodia che vi dicevo: “non a dire ma a fare”.